Chi come me è nato alla fine degli anni Sessanta nella bassa bergamasca ha avuto la fortuna di vivere, ancora per poco, quel che restava di un mondo che oggi purtroppo non esiste più. Le grandi distese di campagna stavano già lasciando spazio all'espansione dei centri abitati, ai capannoni, alle strade, ai grandi ripetitori, insomma a quello che è oggi il paesaggio della nostra pianura.
E assieme al paesaggio se ne sono andati per sempre personaggi, tradizioni, riti, modi di vivere che affondavano le radici in una cultura millenaria.
Certo, per molti aspetti grazie al progresso si vive meglio. Ma aver abbandonato i ritmi della natura, i suoi cicli, ci ha lasciato in eredità un bagaglio di fobie e nevrosi. E le paure e il 'mal di vivere' oggi così diffusi sono figli di una società che ha perso le sue radici. La terra stessa sembra oggi ribellarsi, con i mutamenti climatici che tanta preoccupazione destano.